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INIZIO VITA: BIOETICA, FECONDAZIONE ARTIFICALE, LEGGE 40/2004 E DINTORNI

Verso i referendum sulla legge 40/2004
La legge 40/2004 in breve
Cosa succede votando ai referendum?
Fecondazione assistita: i diritti del nascituro (da "Il Giornale dell'Umbria")
Le cinque prove dell'esistenza dell'uomo 
Decalogo del non voto
Difendere la legge 40/2004 da attacchi ingiustificati
Ritornando sui referendum...
Mussi, le staminali e l'Europa
L'Europa, le staminali e l'inerzia del governo Prodi
Finanziamenti Ue a ricerche distruttive dell'embrione: piccola cronistoria 
E' lecito non votare ai referendum?
Accordo Stato-Religioni sulla diagnosi pre-natale? (lettera ad "Avvenire")







VERSO I REFERENDUM SULLA LEGGE 40/2004

Perchè difendere la legge n. 40/2004

Oggi i cittadini italiani sono chiamati ad esprimere il loro giudizio su quattro referendum inerenti la legge n. 40/2004 che, se approvati, ne snaturerebbero totalmente il contenuto ed il significato: pur nella sua formulazione di compromesso, infatti, la legge, nella sua versione attuale, abbozza un riconoscimento dei diritti dell'embrione, ne impedisce la trasformazione in mero materiale di ricerca, nonchè vieta le pratiche di donazione di sperma, ovuli e altre cose del genere.

La difesa dell'embrione è compito di tutti: dei credenti e dei non credenti, perchè anche quest'ultimi possono riconoscere nell'embrione il principio della persona, così come i dati scientifici ci mostrano. Crediamo anzi che la difesa dell'embrione nobiliti coloro che politicamente si definiscono "laici", poichè è conforme a ragione che la vita umana, nei suoi stadi iniziali, non venga trasformata in "cosa" per la soddisfazione degli interessi degli adulti.

Purtroppo, invece, le cose non sono così semplici: rilevante parte della carta stampata è schierata a favore del fronte referendario, e per coloro che intendono affermare il dovere del rispetto dell'embrione non è semplice far sentire la loro voce. Occorre una mobilitazione che produca un'informazione la più capillare possibile, onde far conoscere alla gente la posta in gioco di questi referendum: una vittoria dei sì porterebbe innanzitutto a) nefaste conseguenze dirette sull'embrione, ridotto alla mercè degli adulti; inoltre b) il fronte referendario sarebbe indotto ad osare di più (ad es., si potrebbe arrivare in breve tempo all'eutanasia legale, così come già avviene in Olanda), mentre invece una loro sconfitta ridimensionerebbe le loro pretese (si accorgerebbero che, sui problemi etici, la maggioranza del paese non li segue, e la paura di perdere il consenso potrebbe indurli a più miti consigli). Occorre pertanto una generale mobilitazione culturale che porti alla sconfitta del fronte referendario, anche perchè c'è il serio rischio che, ove non esista diritto alla vita per l'embrione, prima o poi possano non esistere più nemmeno i diritti inviolabili degli adulti, se una mentalità prevaricatrice ed oppressiva dovesse divenire maggioranza in un paese.

A nostro avviso si possono fare due cose: la prima consiste nel diffondere il più possibile, soprattutto tramite e-mail, quanto più materiale possibile per permettere ad amici e conoscenti di sapere come veramente stanno le cose, con la preghiera di ritrasmettere, a loro volta, quanto ricevuto a più persone che si può: in tal modo si formerebbe una sorta di benefico tam-tam telematico. Per ricercare materiale scaricabile si possono consultare i siti posti in calce a questa lettera. La seconda è scrivere lettere, fax o e-mail a redazioni di tv o giornali per protestare (o plaudere) verso iniziative, servizi o articoli contro (o a favore) la legge 40/2004. Per questa seconda iniziativa ci si può appoggiare a questo indirizzo internet, http://www.fattisentire.net/sendmail/media/lettadir/pagina-email.php, ove ci sono pronti indirizzi e-mail di vari mass-media.

Buon lavoro!

Perugia, 29/01/05 - baronal

__________________________

Potete trovare materiale sulla legge 40/2004 su:

www.fecondazioneartificiale.info          www.impegnoreferendum.it                  www.mpv.org                      

inoltre un'aggiornata rassegna stampa on-line si trova sul sito del Forum delle Associazioni Familiari all'indirizzo:

http://www.forumfamiglie.org/forumroot/rassegna_stampa/speciali11.htm


COSA DICE IN BREVE LA LEGGE 40/2004? (pubblicato su "La Voce" del 03/06/2005)

La legge 40/2004 ruota attorno ad un principio cardine: il rispetto della vita nascente, il diritto del concepito ad essere trattato come uomo. Questo diritto inviolabile, che spetta a tutti e a ciascuno (tutti noi siamo stati embrioni), dovrebbe a rigore di logica e di diritto (diritto alla vita e all'integrità fisica, principio di precauzione) vietare le stesse tecniche di procreazione artificiale, in cui un embrione (un uomo) che prima non c'era viene deliberatamente – per desiderio altrui - portato ad esistenza in situazioni di estrema precarietà fisico-biologica (la maggior parte degli embrioni va incontro a morte sicura), senza tener conto dei rischi che le tecniche comportano anche per la madre.
La legge, frutto di un compromesso parlamentare, non vieta la fecondazione artificiale, ma si sforza comunque – non senza alcune gravi lacune - di garantire al concepito alcune tra le condizioni migliori per l'eventuale nascita. Si tratta comunque di un quadro generale migliore sia della situazione precedente (c.d. “far west procreativo”), sia della situazione in cui ci si ritroverebbe se fossero approvati i quattro referendum in corso (sostanzialmente un ritorno al “far west procreativo”).
Ecco un elenco sintetico e non esaustivo degli aspetti positivi e negativi della legge:

Principali aspetti positivi:
- si riconoscono, nelle tecniche di procreazione, i diritti del concepito (art. 1);
- le tecniche sono ammissibili quando non si possono utilizzare altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause della sterilità (art. 1, art. 4);
- è vietata la fecondazione eterologa, nonché il disconoscimento di paternità e dell'anonimato della madre (padre e madre certi per ogni bambino eventualmente nato) (art. 4, art. 9);
- è consentito l'accesso alle tecniche solo a coppie di sesso diverso (art. 5);
- è vietata la produzione di embrioni a fini di ricerca e sperimentazione, o comunque per fini diversi da quelli previsti dalla stessa legge (art. 13);
- è vietata la crioconservazione o la soppressione di embrioni, salvo il caso (per la crioconservazione) di forza maggiore e fino all'impianto dell'utero da realizzare non appena possibile (art. 14);
- è vietata la produzione sovrannumeraria di embrioni (max tre embrioni per ogni impianto) (art. 14);
- gli embrioni prodotti devono essere oggetto di un unico tentativo di impianto (cioè si dà a tutti gli embrioni una possibilità di vita, pur se statisticamente difficile) (art. 14);
- è prevista la facoltà dell'esercizio dell'obiezione di coscienza per il personale sanitario e ausiliario (art. 16);

Principali aspetti negativi:
- l'ammissibilità della stessa pratica della fecondazione artificiale (viste le alte percentuali di insuccesso molti embrioni sono destinati a morte sicura);
- l'accesso alle tecniche anche a coppie non sposate purché conviventi (art. 5);

Come si può vedere, se cade il presupposto iniziale (riconoscimento della dignità umana all'embrione o comunque, nell'incertezza, attivazione del principio di precauzione), se cioè vi è un declassamento dell'embrione da “uomo” a “cosa”, aspetti positivi e negativi della legge sono destinati ad invertirsi.
Il declassamento biologico e giuridico dell'embrione è tuttavia insostenibile, poiché:
a) è contrario all'esperienza comune (tutti noi siamo stati embrioni);
b) è contrario ai dati scientifici (continuità del processo evolutivo a partire dalla fecondazione fino alla nascita);
c) è contrario ai lineamenti portanti dell'ordinamento giuridico (diritto alla vita ed all'integrità fisica, principio di precauzione quando vi è possibilità di ledere l'uomo)
d) è contrario al parere del Comitato Nazionale di Bioetica del giugno 1996: “...Il Comitato è pervenuto unanimemente a riconoscere il dovere morale di trattare l'embrione umano, sin dalla fecondazione, secondo i criteri di rispetto e tutela che si devono adottare nei confronti degli individui umani a cui si attribuisce comunemente la caratteristica di persone...”

Perugia, 21/03/2005

Alberto Baroni


Da "Il Giornale dell'Umbria" del 09/06/2004

FECONDAZIONE ASSISTITA: I DIRITTI DEL NASCITURO

Gentile Direttore,

vorrei portare il mio contributo al dibattito sulla nuova legge sulla fecondazione assistita che è partito dalle colonne del Suo giornale con l'editoriale di Alessandro Campi del 15/05/04 (Una legge che genera il “Turismo procreativo”), cui ha fatto seguito la risposta di Assuntina Morresi del 20/05/2004 in difesa della legge ed il successivo intervento di un'anonima lettrice del 28/05/2004 che invece, sulla linea del primo editoriale, auspicava una modifica della legge.

Mi pare che le critiche alla legge, anche nella fase immediatamente precedente e successiva alla sua emanazione, non tengano conto di una questione fondamentale: il 22/06/1996 il Comitato Nazionale di Bioetica ha emanato un parere in base al quale lo stesso Comitato “è pervenuto unanimemente a riconoscere il dovere morale di trattare l'embrione umano, sin dalla fecondazione, secondo i criteri di rispetto e tutela che si devono adottare nei confronti degli individui umani a cui si attribuisce comunemente la caratteristica di persone”. Dal modo di tenere in considerazione questo parere cambia il punto di vista sulla legge. E cambia la ponderazione dei diritti in gioco.

Orbene, se prescindiamo da questo parere, allora può non avere senso limitare il numero di embrioni da produrre e da impiantare nell'utero; di più, su di essi potrebbero aprirsi tutte le ricerche scientifiche che da più parti si richiede da tempo, con tutti gli annessi e connessi che tali ricerche si portano dietro.
Certo, anche in questo caso non bisogna dimenticare che l'embrione è comunque destinato a diventare persona, sicché, a rigor di logica (e di diritto), non dovrebbero comunque trovare spazio soluzioni favorevoli all'apertura della fecondazione alle persone single, alle persone omosessuali, etc., nonché la stessa pratica della fecondazione eterologa, poiché il diritto naturale del nascituro -di ogni nascituro - a venire al mondo nella famiglia composta dai propri genitori biologici (di sesso diverso), riguardo ai quali ci sia certezza d'identità, dovrebbe godere di una maggiore tutela (per inciso, a tale diritto si può derogare solo in casi eccezionali e come rimedio per il bene del figlio - es. l'adozione – e non per libera scelta degli adulti). Ma sto usando il condizionale, perché come è noto una gran fetta di politici (soprattutto dell'area del centro-sinistra) ha spinto e sta spingendo affinché tale legge si trasformi in un apparato giuridico che metta in secondo piano gli elementari diritti dei nascituri, diventando di fatto una legge dei forti contro i deboli.

Se invece teniamo nella giusta considerazione il parere sopra citato, si capisce al volo che le cose cambiano. Non solo non diventa più ammissibile utilizzare l'embrione a fini di ricerca, ma la stessa pratica della fecondazione artificiale è destinata a subire una notevole restrizione.

Il nostro ordinamento giuridico è innervato (come è giusto) da un forte principio di precauzione ogniqualvolta si ha a che fare con la vita umana; quello stesso principio che guida gran parte delle nostre azioni quotidiane e che, detto in parole povere, dopo un terremoto ci impedisce di spazzare immediatamente via le macerie e ci fa invece cercare persone finché c'è una speranza di trovare qualcuno vivo. E' lo stesso principio che, ad esempio, ispira la normativa in tema di sicurezza sul lavoro, di codice della strada, di sicurezza degli apparecchi domestici, etc. nonché ispirante tutte le tutele giuridiche della normativa penale (diritto alla difesa, diritto a tre gradi di giurisdizione, etc.).
Non si capisce pertanto per quale motivo tale principio non debba essere applicato anche all'embrione.

Questo è precisamente l'orientamento legislativo di fondo di questa legge; certo, non in modo limpido, non usando chiarezza di termini (immagino che la legge sia stata il risultato di intense mediazioni ed elaborazioni), ma in sostanza il legislatore italiano - sia conformandosi al principio di precauzione di cui sopra, sia recependo il parere del CNB - ha voluto affermare una sorta di rispetto dell'embrione in quanto, non avendo la possibilità politico-culturale di definirlo “persona”, ha voluto almeno trattarlo come principio di una persona (il che, tra l'altro, conferma che non si tratta di una legge “cattolica”).

In questo sta - è vero - l'ambiguità della legge: se l'embrione è una persona, allora anche tre embrioni sono troppi; se non lo è, perché limitarne il numero? Riconosciamo, dunque, l'ambiguità e l'imperfezione di questa legge, frutto, come ho già detto, di mediazioni e compromessi, ma la sostanza di fondo è che essa va nella direzione di una tutela dell'embrione e pertanto la difendiamo, poiché sicuramente è volta a limitare i danni umani e sociali che scaturirebbero da normative più permissive. A questo proposito voglio osservare come il formarsi di un turismo procreativo non è conseguenza diretta della legge, bensì conseguenza di una concezione giuridico-biologica dell'embrione e del nascituro differente da quella di cui essi sono meritevoli.

Per tali motivi credo che il dibattito in corso sulla legge debba uscire dall'attuale fase di scontro imbastito a base di slogan (legge confessionale, oscurantista, etc.), ma si debba con coraggio riprendere in mano quel parere del Comitato Nazionale di Bioetica che ponevo all'inizio della lettera. I detrattori della legge devono portare sul tavolo della discussione nuovi argomenti per giustificare il declassamento giuridico dei diritti dell'embrione e del nascituro (alla luce di tutto l'ordinamento giuridico italiano), argomentando la convinzione che l'embrione non sia meritevole della tutela dovuta alla persona. A questo punto il dibattito culturale e politico (anche all'interno del Parlamento) potrà riprendere in modo aperto e costruttivo. Raccogliere firme per un referendum abrogativo rappresenta, al contrario, una non-risposta demagogica che non aiuta alla soluzione del problema. Un referendum non può cancellare l'embrione, né il carico di domande che esso porta con sé.

Alberto Baroni


DECALOGO DEL NON VOTO

Perché è giusto non votare:
- gli esseri umani non sono cavie per esperimenti
- la fecondazione eterologa crea orfani "per legge"
- non si possono sopprimere essere umani innocenti
- la vita umana è inviolabile fin dal concepimento
- la salute della donna deve essere tutelata
- esistono efficaci terapie con staminali adulte
- mi oppongo al delirio di una scienza disumana
- il capriccio di pochi diventerebbe legge dello stato
- votando favorirei il raggiungimento del quorum
– non esiste un "diritto al figlio"
Il non-voto del 12 giugno serve per DIFENDERE LA VITA.



Lettera inviata al “Giornale dell'Umbria”

DIFENDERE LA LEGGE 40/2004 DA ATTACCHI INGIUSTIFICATI


Spett.le Redazione,

intendo portare il mio contributo al dibattito sui prossimi referendum partito da queste pagine, e per fare ciò prenderò spunto da alcune frasi dell'articolo a favore dei “Si” pubblicato in data 26/05/2005. L'autore, nell'argomentare la propria opinione, afferma testualmente che non ha “volutamente toccato il tema irrisolvibile dello statuto dell'embrione, se sia o meno persona...” e termina asserendo che “...per quanto mi riguarda l'embrione è «altro» da persona...”. La strategia referendaria è chiara: evitare di parlare dell'embrione (se viene fuori che è un essere umano pure lui, addio referendum) e privilegiare la libertà di scelta dei singoli (“per quanto mi riguarda”) a prescindere da qualunque considerazione scientifica, giuridica o etica.

Peccato che il “tema irrisolvibile dello statuto dell'embrione” è stato invece toccato dal Comitato Nazionale di Bioetica il 22/06/1996 in un documento intitolato per l'appunto “Identità e statuto dell'embrione umano” in cui si afferma che “..Il Comitato è pervenuto unanimemente a riconoscere il dovere morale di trattare l'embrione umano, sin dalla fecondazione, secondo i criteri di rispetto e tutela che si devono adottare nei confronti degli individui umani a cui si attribuisce comunemente la caratteristica di persone...”.

Parere autorevole. Il quale si aggiunge alla nostra esperienza personale (ciascuno di noi è stato embrione) che ci fa comprendere come una volta fecondato l'ovulo dallo spermatozoo si crea un organismo nuovo, individuale, con proprio patrimonio genetico, che evolve autonomamente verso la nascita, e che diventa uno di noi. Questi sono i dati scientifici, e non sono in discussione.

Ora mi chiedo: di fronte ad un parere così autorevole come quello del CNB e di fronte a dati scientifici di evidenza inconfutabile è mai possibile compiere scelte basate solo sul proprio libero arbitrio (“per quanto mi riguarda”)? E' mai possibile ignorare i più elementari principi giuridici, come ad esempio il principio di precauzione, il quale esige che l'agire umano si faccia prudente quando esiste anche solo il dubbio di ledere la salute e la dignità umana (es. normative di sicurezza sul lavoro, igiene alimentare, limiti di velocità, etc)?

Resto dunque perplesso sentendo dire, nell'articolo suddetto, che le soluzioni a tali problemi si trovano attraverso una “discussione pubblica, aperta e senza pregiudizi...” quando, andando al dunque, gli elementi più importanti della discussione vengono volutamente tralasciati.

Ascoltando attraverso i mass-media le affermazioni dei referendari, si ha l'impressione che essi stiano usando solo slogan, senza mai dare adeguate motivazioni a sostegno delle loro tesi. Prendiamo il caso delle cellule staminali embrionali: oltre ad avere un'elevata probabilità di degenerare in tumori, a tutt'oggi non si è avuto alcun risultato positivo nella cura di nessuna patologia (e per prelevarle bisogna sopprimere l'embrione!), mentre le staminali adulte sono già oggi efficaci verso numerose patologie. E si potrebbe continuare: sulla salute della donna (maggiormente tutelata con questa legge), sulla libertà di ricerca (comunque possibile, ma non sulla pelle dell'embrione), sull'eterologa (una produzione di orfani, contro ogni elementare diritto del figlio, e che pone una divisione anche nel rapporto interno tra i coniugi).

Altra frase chiave dell'articolo precedente è questa: “...con il referendum non si decide sulle tecniche di fecondazione assistita. Si decide sulla responsabilità di procreare.” E' vero. Ma nel senso che i referendum chiedono di mettere da parte questa responsabilità della procreazione, che esigerebbe rispetto per i diritti del nascituro (tra gli altri, ad es. avere genitori biologici certi). In realtà con il referendum si decide della vita dell'embrione - cioè di un essere umano -, della possibilità di farne materiale di ricerca, di usarlo al solo fine di soddisfare i desideri degli adulti, di far prevalere i “forti” (con tutti gli interessi economici del caso) nei confronti dei deboli, dei senza voce. Imporre arbitrarie distinzioni riguardo alla vita umana equivale a instaurare un'ingiustizia: così è stato per i negri, per gli ebrei, così è per l'embrione.

Voglio rammentare che la fecondazione extra-corporea comporta sempre la morte sicura per una elevata percentuale di embrioni. Pertanto la legge è stata il frutto di compromesso parlamentare, perché l'adesione tout court al principio giuridico di precauzione avrebbe semplicemente impedito la fecondazione extra-corporea. Sentir parlare, nei pubblici dibattiti, di Stato religioso o di legge cattolica è del tutto falso e fuorviante.

E' vero invece che sono inaccettabili concezioni della democrazia e della laicità dello Stato intese come libertà totale di operare secondo i propri desideri (di cui lo Stato dovrebbe farsi garante), senza tenere conto dei consolidati principi giuridici che portano ad esigere il rispetto per tutti i componenti della comunità umana. Tali concezioni equivalgono a dire che il male è solo una percezione soggettiva, e pertanto le istituzioni non possono né difendere dal male, né indirizzare verso il bene; in questa visione le istituzioni non solo non rappresentano i cittadini, ma sono pure inutili.

Viene da chiedersi allora che tipo di società e di leggi dovremmo aspettarci se una cultura di questo tipo dovesse prendere il sopravvento nelle assemblee legislative. Auspicare delle normative che si discostino in modo plateale dall'evidenza naturale e dai sani principi giuridici significa condannare una società al dissolvimento. Questo è il risultato a cui di fatto ci porterebbe la vittoria dei “Sì”.

I referendari hanno sempre dribblato le risposte a due domande fondamentali: 1) per quale solido motivo scientifico si rifiuta di considerare l'embrione essere umano? 2) Ammesso che non si possa considerare con assoluta certezza l'embrione un essere umano, perché nei suoi confronti non deve valere il principio di precauzione? Coloro che sono favorevoli al “Sì” devono portare sul tavolo della discussione argomenti validi per giustificare il declassamento giuridico dei diritti dell'embrione e del nascituro (alla luce di tutto l'ordinamento giuridico italiano), argomentando la convinzione che l'embrione non sia meritevole della tutela dovuta alla persona. Devono cioè rispondere alle due domande che ponevo sopra, per continuare la “discussione pubblica, aperta e senza pregiudizi”.

Per quanto detto credo che sia importante ASTENERSI dal voto. L'astensione, infatti, assume in questo frangente il valore di un doppio “No”: un “No” alle modifiche peggiorative della legge, ed un “No” all'utilizzo dello strumento referendario, che mal si presta a risolvere problematiche complesse.

La vita non può essere messa ai voti.


Perugia, 27/05/2005

Alberto Baroni


 

Ritornando sui referendum...


Cosa possiamo dire a proposito dei referendum del 12-13 giugno sulla legge 40/2004, per così dire, a bocce ferme?
Innanzitutto mi pare di poter dire che la campagna referendaria ha svelato molte facce e molti cuori che diversamente sarebbero rimasti nell'ombra: dai “cattolici adulti” che vanno comunque a votare (cercando così una posizione politicamente “cerchiobottista”) a quelli per cui ai referendum è moralmente giusto votare (anche “no”) o astenersi a seconda se il referendum lo promuovono loro oppure no, passando per coloro che - colti da improvvisi ripensamenti - sono andati a votare pur avendo a suo tempo sostenuto la legge. Ora questi soggetti si propongono quale guide per il nostro paese, ma ne hanno veramente la capacità morale? E' veramente possibile realizzare sane politiche sociali, industriali, economiche, quando le politiche familiari e di aiuto alla vita sono sballate o inesistenti? Non sono forse la persona e la famiglia i protagonisti della vita sociale, economica, industriale?
In secondo luogo il referendum ha in un certo senso “costretto” coloro che erano a favore della vita a trovare le ragioni della loro posizioni, a difendere le loro idee in modo plausibile, provando a vedere se ci sono buoni motivi per difendere la vita anche da parte di chi non crede. E, mi pare, il risultato è stato notevole. Numerosi non credenti si sono schierati a favore della legge 40/2004, mostrando solidi argomenti scientifici (es. il prof. Vescovi), mentre gli avversari annaspavano nei loro giri di parole senza riuscire a convincere nemmeno la loro base elettorale.
In terzo luogo si è evitato, grazie al poderoso risultato finale, che nel nostro paese sulle questioni etiche si vada avanti con la mano leggera. Credo di poter affermare che per qualche buon anno il pericolo eutanasia è scongiurato, e - come un boomerang per chi lo aveva tirato in ballo nella speranza di spaventare l'elettorato - ora anche l'argomento aborto comincia a riprendere piede, se non altro perché si discute di dare una maggiore applicazione della legge 194/78 negli enunciati in cui essa parla di difesa della vita (130.000 ca. aborti annui su 500.000 ca. nascite dopo ventisette anni di 194 sono un po' troppi nonostante ci sia ancora chi continua a insistere che la legge funziona benissimo), così come si sta parlando di frenare una eccessiva “medicalizzazione” del parto.

Nuovi campi di azione si dispiegano all'orizzonte, come ad esempio i tentativi di introdurre modelli alternativi di famiglia (Pacs, comprendenti anche unioni omosessuali), mentre continuano a tutto campo gli attacchi alla Chiesa Cattolica (vedi questione ICI) ed al cardinale Ruini il quale, pur essendo cittadino italiano, secondo taluni campioni di tolleranza non potrebbe liberamente esprimere la propria opinione, poiché ogni volta che parla di valori connessi a questioni sociali fa “un intervento a gamba tesa nei confronti della Repubblica” (in definitiva un non-cittadino: ma una volta questo non si chiamava totalitarismo?)
Insomma, ho l'impressione che più avanti ne vedremo delle belle.

baronal, 23/10/2005

 


(pubblicato sulle lettere de "La Voce" del 30/06/2006 n. 24)

MUSSI, LE STAMINALI E L'EUROPA


A seguito del voto di pochi giorni fa con cui il Parlamento Europeo ha approvato un programma di ricerca che prevede l'utilizzo di embrioni umani, e data l'importanza che i temi bioetici rivestono per tutti noi, vale la pena di riflettere ancora sul gesto del ministro Mussi che a fine maggio ha ritirato la firma dell'Italia sulla Dichiarazione etica per la ricerca sulle cellule staminali embrionali, firma che aveva apposto il precedente governo (in linea con la volontà popolare espressa nei referendum sulla legge 40/2004). La firma (ora cancellata) del governo italiano era peraltro in compagnia di quella di altri paesi, tra cui la Germania. Politicamente quel gesto significa che per l'Italia, in sede Ue, tale modalità di ricerca non è più un problema, e dunque si può fare – e finanziare - ricerca anche sperimentando sulle cellule staminali embrionali. Si è trattato di un episodio che non può che qualificarsi come sconcertante e, a mio parere, di una gravità inaudita, per una serie di problemi di ordine giuridico, scientifico-morale e politico.

Innanzitutto, dal punto di vista giuridico, Mussi dimentica l'art. 54 della nostra Costituzione, che afferma che tutti i cittadini hanno il dovere di rispettare la stessa costituzione e le leggi, aggiungendo che "i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore...": come può pertanto un ministro della Repubblica andare in un consesso internazionale e tenere un comportamento che apertamente contrasta con i principi di una legge del proprio paese (la legge 40/2004 sulla fecondazione assistita), e tutto questo non come privato cittadino, ma appunto come rappresentante della stessa Repubblica?

Dal punto di vista scientifico-morale, non si capisce poi il motivo di questo "accanimento " sulla (costosa) ricerca con l'utilizzo delle staminali embrionali, quando finora i maggiori e più promettenti (nonché gli unici) risultati utili sono venuti da applicazioni con staminali adulte o prelevate dal cordone ombelicale; insomma, pur di percorrere una strada promettente ed eticamente accettabile, ci si affossa su vie dubbie ed eticamente inaccettabili (l'embrione ridotto a fornitore di pezzi di ricambio).

Dal punto di vista politico, infine, tutto ciò viene fatto da un ministro di un governo che esiste in virtù di una differenza di voti (alla Camera dei Deputati) di circa ventimila unità su oltre 40 milioni di votanti (cioè circa lo 0,05%), quando poi il paese reale, chiamato appena un anno fa a decidere su tale argomento, si è pronunciato mostrando una netta contrarietà (circa il 75%) sui referendum "peggiorativi" della legge 40/2004. Vale a dire: tre quarti del paese è contrario, ma Mussi, che sta dove sta per un capello di maggioranza elettorale, va in Europa e compie un gesto che è tutto il contrario di quello che la maggioranza degli italiani vuole.

Tutto ciò è accaduto poi non soltanto senza un opportuno passaggio parlamentare, ma anche nel più imbarazzante silenzio "politico" del resto del governo (nel senso che pare che la cosa sia stata il frutto dell'iniziativa del solo Mussi): ma è mai possibile che su una materia così delicata un ministro possa decidere per tutto il paese senza che gli altri membri della compagine governativa non ne sapessero niente? A questo punto sono inevitabili un paio di considerazioni: 1) poiché in ogni caso la legge in Italia non cambia, si può ipotizzare che il ministro abbia voluto rendere la legislazione italiana ancora più isolata in seno alla Ue, nella speranza che, col passare del tempo, si crei un'opinione pubblica favorevole ad una rivisitazione della legge 40/2004: in altre parole, si usa l'Europa come grimaldello per forzare la normativa interna, quando questa non piace; 2) dal punto di vista dei rapporti di forza all'interno del governo, il gesto di Mussi (audace, come su un terreno minato) può significare che le forze moderate del centro-sinistra sono ostaggio della maggioranza diessina e della sinistra radicale.

A tutto questo poi si può aggiungere un'ulteriore valutazione: quella riguardo la costruzione della casa comune europea, la quale può dirsi veramente tale solo se ognuno porta il suo mattone, vale a dire che ognuno porta il proprio contributo, la propria specificità, la propria cultura, il proprio punto di vista, e questo diviene il punto di partenza per una valutazione comune. Mussi, anziché portare il mattone italiano sulle staminali embrionali, lo ha ritirato indietro. Così l'Europa sarà di tutti, tranne che degli italiani.


Perugia, 18 giugno 2006

Alberto Baroni

 


L'EUROPA, LE STAMINALI E L'INERZIA DEL GOVERNO PRODI

All'indomani del vertice di capi di stato e di governo della Ue del 15/12/2006 a Bruxelles il quotidiano "Avvenire" prende posizione contro l'inerzia del governo sulla questione della ricerca su cellule staminali embrionali nell'ambito del VII Programma quadro di ricerca Ue. In un duro editoriale del 16/12/06 (titolo: "Un'Italia di compromessi e deludente") si ricorda come il problema di finanziamenti per ricerche distruttive degli embrioni non è stato sfiorato dalla delegazione italiana, guidata da Romano Prodi, la quale ha preparato un dichiarazione "nella sostanza desolatamente remissiva". Tutto ciò, ricorda il quotidiano, nonostate la questione sia stata aperta proprio dal nostro governo, nella persona del ministro Mussi, il quale ha ritirato la firma italiana che impediva il finanziamento della ricerca distruttiva di embrioni. Insomma, prima si sono create le condizioni per la voragine, poi non si è fatto quasi nulla per porvi rimedio. Ed "Avvenire" ricorda come "la lezione impartita da questa vicenda politica è davvero profonda e indimenticabile. E vari segnali inducono a ritenere che lo sia anche per tutti quei politici che avevano creduto di potere indurre a onorare principi di ragione e di precauzione i colleghi invece fautori di una ricerca "senza paletti" persino sulle vertiginose frontiere della vita umana. E' bene che si ripensi a certi voti espressi con leggerezza ...(..)... e, soprattutto, all'ordine del giorno approvato d'un soffio il 19 luglio in Senato...(..)... Poco e nulla è stato impedito. Niente è stato ricucito. Troppo risulta compromesso". E citando l'ordine del giorno del 19 luglio sembra quasi che il quotidiano voglia fare un pesante richiamo a coloro nell'Unione che, dichiarandosi credenti, non hanno votato a favore della proposta Buttiglione-Mantovano (no assoluto alle ricerche distruttive dell'embrione) preferendo il voto ad un'ambigua proposta dell'Unione, poi approvata.

Sulla stessa linea l'articolo di pag. 5 ("Embrioni, Italia inerte nella Ue"). Insomma, sembra proprio che sui temi etici il premier sia ostaggio della sinistra diessina e radicale, e che su tali temi i moderati non riescano a puntare i piedi per non danneggiare la tenuta della coalizione.

baronal, 17/12/2006

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Finanziamenti europei a ricerche distruttive dell'embrione: piccola cronistoria

- Novembre 2005: il ministro Moratti, in linea con il risultato del referendum sulla legge 40/2004, pone la firma alla “dichiarazione etica” sostenuta da Austria, Germania, Polonia, Slovacchia, Malta, andando a costituire una “minoranza di blocco” contro il finanziamento della ricerca che distrugge embrioni;
- 30/05/2006: il neo ministro Mussi ritira la firma dell'Italia dalla “dichiarazione etica” e così sfalda la minoranza di blocco;
- 15/06/2006: il Parlamento europeo approva di stretta misura il finanziamento delle ricerche sulle cellule staminali embrionali;
- 19/07/2006: il Senato Italiano approva di strettissima misura (un voto in più) una risoluzione dell'Unione che impegna il governo a sostenere ricerche che non implichino la distruzione di embrioni, ma ambigua sulla ricerca su embrioni crioconservati. La risoluzione porta tra l'altro la firma di "credenti" (così si sono autodefiniti in una lettera ad "Avvenire") della Margherita come Paola Binetti e Emanuela Baio Dossi. La risoluzione Buttiglione-Mantovano (no assoluto alle ricerche distruttive di embrioni) non viene approvata per un solo voto di differenza (di fatto i "credenti" della Margherita hanno negoziato il non negoziabile). In una lettera al direttore di "Avvenire" pubblicata il 23/07/2006 Baio Dossi, Binetti, Bobba e Carra affermano che "con umiltà cristiana" continueranno a lavorare affinchè in il 24/07/2006 in Europa i fondi per la ricerca siano destinati a difendere gli embrioni; ed infatti
- 24/07/2006: il Consiglio Competitività della Ue decide che il finanziamento non sarà possibile per ricerche distruttive di embrioni, ma possibile per finanziare stadi di sviluppo successivi che coinvolgano cellule staminali embrionali, senza peraltro stabilire la data della formazione degli embrioni. Praticamente può dunque essere possibile la ricerca su linee staminali prodotte fuori Ue tramite distruzione di embrioni.
- 15/12/2006: al vertice dei capi di stato e di governo della Ue Prodi non riapre il discorso sulle staminali. Dura presa di posizione del quotidiano "Avvenire" del 16/12/2006, il quale ricorda che tutto questo è iniziato con uno sconsiderato gesto del governo italiano nella persona del ministro Mussi.

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E' lecito non votare ai referendum?

Si discute ogni tanto se l'invito a non votare ai referendum di cui all'art. 75 della Costituzione sia lecito oppure no sotto il profilo della correttezza costituzionale. In particolare si affermerebbe (ma senza motivare più di tanto) che in tali casi il non voto sarebbe una scelta anticostituzionale e quindi moralmente negativa, ragion per cui anche l'invito al non voto a proposito dei referendum sulla legge 40/2004 sarebbe stata una scelta scorretta, diseducativa, in definitiva anti-istituzionale.

Alle sue prime convocazioni, il referendum appariva alla comunità come un momento alto di partecipazione alla vita civile di un paese, attraverso il quale i cittadini si esprimevano soprattutto su alcune importanti questioni di principio; la generalità della questione su cui decidere e l'effettiva divisione dell'opinione pubblica reale garantivano di per sè una partecipazione elevata alla consultazione referendaria.

Successivamente l'istituto referendario è stato nel corso degli anni snaturato, divenendo oggetto di un utilizzo eccessivo, soprattutto da parte di alcune forze politiche che per contrastare una vera o presunta "partitocrazia" hanno perseguito una politica di ricorso alla consultazione diretta del corpo elettorale perfino su temi tecnici di difficile comprensione per l'elettore medio, in tal modo corrompendo lo spirito dell'istituto referendario ed "inflazionando" il ricorso alle urne. In tale scenario si può affermare che il non voto è diventato, nella coscienza collettiva, anche uno strumento di difesa e di reazione contro un utilizzo improprio dell'istituto referendario. Ma si tratta di una difesa ed una reazione moralmente leciti?

Su questo aspetto occorre pertanto fare chiarezza. L'art. 48 Cost. qualifica il voto come "dovere civico". Caretti - De Siervo (2000) commentano che tale definizione fu il frutto, in seno all'Assemblea Costituente, di un compromesso tra due opinioni: quella di coloro che volevano una sorta di obbligatorietà del voto e quella di coloro che lo volevano come semplice esercizio di libertà o, al limite, come obbligo morale. Si trovò pertanto tale formula di compromesso che fu accompagnata, dal legislatore ordinario, da due sanzioni amministrative per coloro che ingiustificatamente non avessero esercitato il diritto di voto nelle elezioni politiche per due volte (affissione del loro nome per trenta giorni nell'albo comunale e menzione del fatto per cinque anni nel certificato di buona condotta). Le sanzioni sono state poi eliminate con la legge elettorale del 1993.

Come si può vedere, la discussione costituzionale fece scaturire conseguenze rilevanti soltanto nel caso delle elezioni politiche, e non anche in quelle amministrative.  Meno che mai nel caso dei referendum di cui all'art. 75, ed il motivo è ovvio.

Col referendum abrogativo, infatti, la scelta da effettuare è se abrogare oppure no una legge - o parte di essa - già approvata dal Parlamento, eletto attraverso le elezioni politiche. Ora, nel nostro paese vige la democrazia rappresentativa: poiché è impossibile che tutti i cittadini di una nazione vengano contemporaneamente sentiti per la formazione delle leggi, vengono eletti - attraverso il raccordo dei partiti, associazioni di rilevanza costituzionale - dei rappresentati del popolo, i quali  formano le leggi in seno al Parlamento. Dal che si presuppone che una legge approvata dalla maggioranza parlamentare goda del favore anche della maggioranza della popolazione. Certo, astrattamente parlando potrebbe non essere così (ed infatti il costitutente ha previsto lo strumento del referendum abrogativo), tuttavia così deve presumersi fino a prova contraria (cioè l'abrogazione da parte di diversa maggioranza parlamentare oppure tramite referendum).

Ora, coloro che sono convinti che una legge non riscuota il gradimento la maggioranza degli elettori, possono raccoglier firme e convocare un referendum, ma a rigor di logica devono anche dare prova di essere maggioranza del paese, portando al voto abrogativo almeno la metà più uno degli elettori: nessuno infatti può costringere un cittadino ad andare a votare per confermare la bontà di una legge per la quale lo stesso cittadino ha già delegato i membri del parlamento, che tra l'altro prendono un lauto stipendio per fare i parlamentari, cioè per fare le leggi. Se il cittadino fosse obbligato ad esprimersi nel caso di referendum, si avrebbe infatti che la maggioranza dei cittadini del paese sarebbero sempre ostaggio di una minoranza che potrebbe scomodarli e costringerli ad andare a votare ogni volta che si vuole, con grave dispendio di risorse per le casse pubbliche. Proprio per evitare queste conseguenze (aggravio degli adempimenti per i cittadini, spese pubbliche eccessive) e coerentemente con la rappresentatività insita al nostro sistema istituzionale, è stata prevista una soglia per la validità del referendum, al fine di scoraggiare tentativi temerari da parte delle minoranze. Una volta che il cittadino ha delegato i parlamentari ha formare le norme e se la legge oggetto di referendum è di suo gradimento, egli può starsene tranquillo a casa sua, in quanto si può presupporre che la maggioranza parlamentare che ha approvato la legge rappresenti la maggioranza del paese reale; sono gli altri, coloro ai quali la legge non piace, che dovranno dimostrare di essere maggioranza nel paese reale, portando al voto referendario almeno la metà più uno degli elettori. 

In questo senso si capisce come l'invito al non voto referendario è una scelta lecita: coloro che intendono dire "no" al quesito fanno meglio a restare a casa, aspettando di vedere se coloro che intendono dire "si" sono la maggioranza effettiva.

Tali argomentazioni sono certamente logiche e coerenti con il nostro impianto istituzionale, e non sono in contraddizione con il bene comune del paese; il non voto al referendum abrogativo è dunque una scelta moralmente lecita, ben diversa dal non voto alle elezioni politiche. A mio parere occorre poi mettere, sul piano morale, le consultazioni amministrative ed europee allo stesso livello di quelle politiche, poiché oggi è sempre più visibile come la maggior autonomia degli enti locali e la maggor influenza delle istituzioni europee implica una loro maggior responsabilità nella realizzazione del bene comune, percui l'elettore non dovrebbe esimersi da una oculata scelta dei rappresentanti del governo locale. 

Non è dunque vero che il non voto al referendum abrogativo sia una scelta diseducativa, nel caso che il cittadino dissenta con il quesito proposto. E' vero piuttosto che l'istituto referendario è spesso stato utilizzato in modo strumentale, divenendo anche tale utilizzo un ulteriore campanello d'allarme riguardo al più generale comportamento di una classe politica numerosa e privilegiata che ha spesso anteposto al bene comune una modalità di esercizio del potere tesa alla ricerca del proprio vantaggio. Tutto ciò ha causato disaffezione della società civile non solo verso il referendum, ma verso il generale interesse per la politica e la partecipazione alle urne. 

La via d'uscita a questa situazione non è certamente la critica alla Chiesa per l'invito al non voto sui referendum della legge 40, bensì il sostegno convinto dei principi della dottrina sociale della Chiesa i quali esigono un comportamento politico inteso come impegnativo servizio a tutta la comunità, nell'effettiva ricerca del bene comune, non lasciandosi influenzare da interessi particolari o partitici.

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Accordo Stato-Religioni per la diagnosi pre-natale? (in Avvenire del 04/10/2012)

Preg.mo Direttore,

la recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sul caso Costa e Pavan c/Italia cita tra gli altri – con l’evidente fine di sostenere l’esito finale della sentenza – un documento del Comitato Direttivo per la Bioetica (CDBI) del Consiglio d’Europa, e precisamente il documento denominato “CDBI/INF (2010) 6”, reperibile all’indirizzo internet  http://www.coe.int/t/dg3/healthbioethic/Source/INF_2010_6_dpidpn_en.pdf. Si tratta, a mio modesto parere, di un utilizzo improprio ai fini della sentenza, poiché si tratta di un documento descrittivo e non prescrittivo della situazione europea riguardo la diagnosi prenatale e preimpianto. La cosa curiosa è che nell’elencare le varie norme che regolano le fattispecie predette, nel caso dell’Italia (pag. 24) viene citato, riguardo la diagnosi prenatale, “l’accordo tra lo Stato e le Religioni 15/07/2004” (Agreement between the State and the Religions 15/07/2004), sì, ha letto bene, Religioni anziché Regioni. Anche involontariamente, sembra confermarsi il luogo comune secondo cui, quando in Italia si norma la materia bioetica, c’entra sempre  di mezzo la religione. Forse Freud avrebbe molto da dire su questa svista...       (Alberto Baroni)

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